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Immagine del redattoreGiuseppe Ferrara

Fact checking, come ti censuro in nome della lotta alle bugie


Una volta per stabilire la verità ci si rivolgeva ai tribunali, oggi questo ruolo è stato usurpato dai cosidetti “fact checker".

Il fact checking, o verifica della fonte, è un termine giornalistico utilizzato per indicare il processo di verifica delle fonti con lo scopo di accertare la veridicità di fatti, dichiarazioni e informazioni.

L'avvento della rete e la diffusione di blog e social network ha causato un sovraccarico di informazioni, non sempre verificate in modo professionale, date in pasto senza filtri alla popolazione.

Queste informazioni hanno cominciato ad essere un problema dal momento in cui social hanno iniziato a sostituirsi ai media tradizionali. Da un indagine Demopolis emerge che oltre il 79% dei giovani under 30 si informa prevalentemente sui social e siti online. Una percentuale altissima che ha tolto il monopolio a TV e giornali.

L'informazione è potere e questo potere deve essere controllato e gestito. Quel potere che era per tradizione nelle mani dei big dei media adesso è fuori dal loro controllo e a disposizione di tutti.

Nel 2018 scoppiò lo scandalo Cambridge Analytica, una società di consulenze britannica. Questa società aveva raccolto i dati di milioni di profili Facebook e tramite un complesso algoritmo bombardava di messaggi personalizzati gli utenti per veicolare il consenso a scopo di propaganda.

Nel marketing una cosa non deve essere vera, deve funzionare e tramite la diffusione di post emozionali o di notizie manipolate erano capaci di scovare l'elettorato potenziale di una determinata corrente politica e condizionarne il pensiero.

Si vocifera che fu questo il metodo utilizzato per convicere gli inglesi a votare in massa la Brexit. E' dunque facile pensare che qualsiasi cosa possa influenzare gli elettori rappresenti un pericolo per i governi. Occorre quindi porre rimedio.

Pressando i CEO di questi colossi, i governi sono riusciti a costringerli a dotarsi di strumenti di verifica delle fonti, i cosidetti Fact checker. In tandem con l'intelligenza artificiale, questi gruppi di “scova bufale” bloccano post e link che divulgano falsità. Ma sono davvero falsità?

Tralasciando gli errori degli algoritmi, siamo sicuri che, nei casi in cui la verifica viene fatta da personale umano, si possa parlare di Fact Checking? Chi ha un account Facebook almeno una volta ha avuto post eliminati o bloccati senza motivo, senza possibilità di appello. Tentare di contattare lo staff si rivela un impresa, sembra una sorta di boicottaggio per scoraggiare la difesa. Puoi solo prendere atto di una decisione unilaterale.

E' come se passasse la notizia di un reato e senza indagini preliminari venisse arrestato qualcuno solo per il semplice fatto che il giornalista ne assicura la veridicità.

Allo stesso modo Il fact checking dei social sottrae all'utente il diritto alla difesa, oltre a privarlo del diritto costituzionale di esprimersi liberamente. La ricerca della verità è complessa, quando c'è il dubbio si scava e un giudice valuta dopo aver visionato le perizie delle parti. Non si stabilisce unilateralmente.

Possiamo quindi parlare tranquillamente di un pericoloso strumento di censura che non ha niente a che fare con la verifica dei fatti.

Considerazioni che il legislatore dovrebbe iniziare ad approfondire

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